mercoledì 20 ottobre 2010

Il mondo lo conoscerò viaggiando.


Noi uomini del ventesimo secolo guardiamo il viaggio come a un momento di vacanza, un periodo di ferie, durante il quale possiamo allontanarci dalla vita quotidiana che ci accompagna per tutto l’anno, e dedicarci alla visita di una bella città d’arte, all’esplorazione delle coste di un paese scandivano o semplicemente rilassarci sulle spiagge calde del Sud. È il concetto di viaggio che varia di persona in persona. Alcune decidono di prendere il primo aereo disponibile e di partire per il Brasile, forse perchè tenteranno di ritrovare loro stessi, o forse cercheranno ciò che non hanno riscontrato nella loro terra. Altri, invece, hanno bisogno di organizzazione, di un piano ben costruito, fissano una data, prenotano l’aereo e l’albergo e attendono con ansia e desiderio quel giorno. Riporto una frase dell’undicesima epistola di Orazio “non locus effusi late maris arbiter aufert, caelum, non animum mutant qui, trans mare currunt”. Il poeta invita l’amico a non scappare dalla propria terra per dimenticare i dolori, poiché essi, se sono dell’animo, continueranno a far parte di lui, “è il cielo a cambiare non l’animo.” Come ci spiega Saramago nel Viaggio in Portogallo, potremmo ricercare la nostra felicità nel viaggio, affidandoci alle esperienze e alle novità che esso ci proporrà. Ritornando poi alla vita consueta, saremo sempre noi stessi, ma con uno slancio in più. Questo aspetto dell’esperienza dettata da un viaggio, non sempre è riscontrabile in tutti coloro che lo realizzano. Esistono due diversi tipi di visitatori, come ci scrive Todorov in Noi e gli altri, il primo tipo è il classico visitatore che frettolosamente girerà per i luoghi più comuni di una bella città, passerà per la via principale, si siederà al ristorante tipico, scatterà diverse foto a quelle famosissime statue e distrattamente scorrerà numerosi quadri. Il secondo tipo è colui che scoprirà quel prato distante dal centro, gusterà quel cibo scoprendone le origini, si accorgerà delle spezie più varie e sarà ipnotizzato da quel quadro nel quale vedrà ciò che stava cercando. Personalmente preferirei far parte del secondo tipo di visitatore, ovvero colui teso a cercare cosa c’è per se in quel luogo. Lo scorso Marzo, ad esempio, ho visitato insieme alla mia classe Berlino, città straordinariamente organizzata; abbiamo sfatato il luogo comune secondo il quale i tedeschi non siano delle persone calorose. Non si tratta di freddezza, la loro è una civiltà differente e l’accoglienza la si riscontra in ogni cosa: nella pulizia delle strade, nella bellezza dei prati curati e delle metro. Insieme a due amici ho pranzato in un tipico ristorantino berlinese: le travi di legno e le tovagliette verdi rendevano quel luogo diverso. Mentre noi consumavamo uno stinco di cinghiale e polpette di verza, diverse persone andavano e venivano, ognuna aveva la loro particolarità e nel loro piccolo contribuivano a spiegarci quel popolo così preparato e sicuro.
Vorrei visitare i prati dell’Irlanda, mi hanno detto che stare lì sdraiati a sentire il vento riempia il cuore; un’ulteriore viaggio lo farei verso l’Oriente, in India magari, mi immagino a camminare per uno di quei tipici mercatini indiani, ed apprezzare quei tessuti ricamati dai fili color oro. Il secolo in qui sono nata mi permette di trovarmi in questi luoghi con una facilità inaudita, tutti dovremmo sfruttare questa possibilità, cercare e scoprire quei popoli di cui ci hanno parlato, in modo positivo o meno, e trarne una nostra conclusione; guardare con i nostri occhi tutte quelle opere d’arte che da sempre studiamo sui libri o visitare il luogo in cui il nostro poeta preferito ha avuto l’ispirazione per quel testo che sembra parli a noi. Io credo che il viaggio racchiuda tutto questo, e tanto altro che ancora non ho scoperto, ma che viaggiando scoprirò.


...and where were you?

giovedì 30 settembre 2010

With wind!


Oggi sono stanca, demotivata e veramente poco interessanta. Ho letto con distrazione la deduzione trascendentale di Kant, dato un'occhiata più che rapida a geografia astronomica e cercato di riassumere alle menopeggio fisica, DOMANI DOVREI AFFRONTARE UNA INTERROGAZIONE E UN COMPITO IN CLASSE????! speriamo che la notte porti veramente consiglio...


Do you remember the things we saw together?

giovedì 9 settembre 2010

Always and only news!!


Mi rincresce che sia passato tutto questo tempo dall’ultima volta in cui ho deciso di riportare un mio pensiero. Non che io non abbia pensato in questi mesi, mon dieu, che colpo che sarebbe! Tuttavia diverse circostanze mi hanno allontanato dallo scrivere una qualsiasi tipo di frase.
Un tema che mi perseguita letteralmente nell’ultimo periodo riguarda l’abitudine, ho riscontrato diversi pareri sia in me stessa (questo non è del tutto bizzarro) e sia nelle persone mie amiche. Posso tirare le somme e dire dunque che potrebbe coesistere nella stessa parola un duplice significato-valore. Il primo, forse quello che più mi ha portato a riflettere, va preso con le pinze, in quanto è del tutto soggettivo, ebbene: parassita. Sai quando una cosa la si ripete oggi, domani, per tutta la settimana, per tutto il mese, ma anche per un anno intero, ad un certo punto inizierai a parlare di routine, poi non ne parlerai proprio più! L’avrai così inglobata (come azione, o cosa che sia) che non susciterà in te nessuna nuova emozione. Parlo di parassita, perché ti succhierà il tempo e l’ambizione, l’amore nel farlo e la voglia. Quando una traiettoria diversa ti si prospetterà davanti, allora riprenderai in mano quella routine, e due saranno le reazioni, la prima potrebbero essere un senso di tristezza misto alla confusione di come questo sia potuto accadere e ne consegue una riflessione che nel migliore dei casi porta a un forte cambiamento. La seconda reazione quella più “facile” per chi teme i cambiamenti o per chi si adagia sulle situazioni, è quella di continuare con la sua abitudine, per non cambiare i ritmi che l’orologio privato scandisce da una vita. Il secondo significato-valore, è quello di essere felici dell’abitudine che si è venuta a creare, quindi un’abitudine che detta felicità per la conquista raggiunta. si, io penso che ci siano delle abitudini per le quali si è sempre lottato, un traguardo potrei definirlo. Non mi metterò a elencare esempi poiché qui si tratta altro che di soggettivismo, ma proprio di ambizioni e scelte personali!
Non so se ho reso l’idea, ma quest’abitudine ci ammazza e ci appaga!


i have a dream, that is a constant new..coff coff =)

mercoledì 16 giugno 2010

Vivila tu questa sfiducia!


Ma Orazio con la massima del carpe diem davvero credeva di dover essere il meno possibile fiduciosi nel domani?(carpe diem, quam minimum credula postero).
Ne parlavo pocanzi con un mio caro amico, e da lì ovviamente ne consegue tutta una riflessione astratta, ipotetica, per assurdo...ma cosa mi cimento a pensare? è più forte di me, non sono in grado di resistere a queste "sfide". Riprendendo il filo del discorso...dicevamo: cogliere l'attimo. Ebbene accettare qualsiasi cosa la realtà ti spiattelli davanti in quest'istante poichè domani sarà uno schifo? Accettarlo così com'è, adattarsi. Alquanto terrificante. Non si può vivere credendo di doversi adattare anche a ciò che potenzialmente non è il massimo per te stesso, con la convinzione che il domani è così altamente incerto, ipotetico e poco allettante da non aspettarlo con interesse e meraviglia. Non aspettarti nulla dalla vita. Questi luoghi comuni da finti depressi. Un vero depresso se ne stà lì a riflettere sulla sua misera condizione, proprio non ci pensa al domani, non lo considera, è anni luce distante. Sapete chi sono i pochi fiduciosi nel domani? i codardi, coloro che non sanno accettare le sfide e le novità della vita, coloro ai quali i cambiamenti fanno reazione come il diavolo e l'acqua santa. Ovvio che l'occasione presente fa gola, è lì di fronte a te, bellina, non quella che sognavi, ma diciamo che parzialmente potrebbe corrispondere a quel desiderio che bruciava dentro (quando ancora un pò ci credevi nella meraviglia). Ti accontenti, semplicemente. Ma io non vi biasimo, è no per Giove, a tutti accade. è incredibile quando invece sei ancora là, un pò solo, un pò insoddisfatto credi che forse quell'occasione persa non ti si ripresenterà mai più, ma è proprio così!!! Niente accade esattamente due volte! L'uguale esiste solo in matematica, nella vita potrebbe essere, tuttal più, simile. Ma è qui che sta la novità. Se ciò che ti è accaduto non era quello che ti aspettavi e una vocina dentro di te ti dice di adattarti, tu respingila e aspetta il massimo. Attendi il miracolo, non si tratta di teologia, ma di ciò che ti corrisponde, che combaci esattamente con quel desiderio, con la domanda che ti perseguita e ti fa assumere un atteggiamente da ricercatore incompleto. Quando la raggiungerai allora lì cogli l'attimo fiducioso in ciò che ti si è presentato.

martedì 15 giugno 2010

Trova la Crepa (find the crack)


In una delle ultime puntate del telefilm Fringe (il quale mi ha fatto letteralmente appassionare a tutte le stramberie del Dottor Bishop, del figlio Peter dal quoziente intellettivo sviluppato e dell'ammirevole Olivia Dunham), un agente regalò a Peter la sua penna porta fortuna con inciso sopra "Find the Crack", forse da poco fiduciosa, la prima idea che mi è balenata per la testa è stata alquanto pessimista: trovare la crepa? intende che in ogni cosa apparentemente bella ci sia obbligatoriamente del "marcio"?! Ma quella donna era tutt'altro che pessimista, era speranzosa e volenterosa nel trovare nel "brutto" della vita una fessura che permettesse alla luce di passare e di illuminare tutto. Mai lasciarsi invadere dalla depressione e cercare sempre quella crepa, perché sicuramente uno spiraglio si trova in tutte le cose. Che filosofia di vita, non fa una piega.

Foto di Francesco Drago